VAN GOGH, MONET, DEGAS The Mellon Collection of French Art from the Virginia Museum of Fine Arts - Palazzo Zabarella Padova
L’ingresso alla mostra è presidiato da due belle sculture di Aristide Maillol, seducenti ninfe che introducono il visitatore ai successivi tesori sebbene l’esordio, un’intera sala dedicata ai cavalli (una delle passioni della coppia di collezionisti), mi ha un po’ spiazzato. Ma le tele esposte erano firmate, per esempio, da Gericault, Delacroix e Degas cui si aggiungono sue sculture.
Proprio di Degas, nella sezione dedicata ai ritratti, spicca Madame Julie Burtey col contrasto tra i dettagli del volto e il non finito del resto della tela.
Non certo da meno due Renoir Il figlio dell’artista, Jean, mentre disegna e Pensierosa. Presente anche Caillebotte, sebbene non ai suoi massimi livelli, con Uomo che attracca la canoa.
Sorprendente nella sua “moderna classicità” la natura morta di Gauguin Natura morta con ostriche; classicità piena invece con Fantin Latour Uva e mele dove l’artista riesce a rendere il senso di appiccicosità degli acini maturi e la ruvidezza dei vimini intrecciati della cesta che li contiene.
Non rinuncia alle atmosfere inquietanti Felix Vallotton La stanza verde. Curiosamente lo stesso colore verde – e una analoga sensazione di mistero – pervade Dalla modista di Degas. Non a caso viene citata una sua frase: “Un quadro richiede un certo mistero, un che di vago, di fantastico.”
Si torna quindi ai paesaggi con Pissarro e con una scena di ambientazione bretone di Eugene Boudin Pardon in Finistere.
L’ultima sala raccoglie una serie di tele non collegate dalla comunanza dei temi trattati. Abbiamo infatti l’ineffabile Doganiere Rousseau col suo Paesaggio tropicale 1910 (una giungla resa alla sua maniera, immaginifica e naif, potente alternativa alla metropoli parigina dove viveva) e un paesaggio invernale di Monet Vigneti nella neve reso con grande abilità. Per quanto indefinita – o non finita – appaia la scena non si perde comunque di vista la realtà delle varie tonalità di bianco e il cielo caliginoso senza sconfinare nell’astrattismo delle sue ultime opere.
Proprio di Degas, nella sezione dedicata ai ritratti, spicca Madame Julie Burtey col contrasto tra i dettagli del volto e il non finito del resto della tela.
Non certo da meno due Renoir Il figlio dell’artista, Jean, mentre disegna e Pensierosa. Presente anche Caillebotte, sebbene non ai suoi massimi livelli, con Uomo che attracca la canoa.
Sorprendente nella sua “moderna classicità” la natura morta di Gauguin Natura morta con ostriche; classicità piena invece con Fantin Latour Uva e mele dove l’artista riesce a rendere il senso di appiccicosità degli acini maturi e la ruvidezza dei vimini intrecciati della cesta che li contiene.
Non rinuncia alle atmosfere inquietanti Felix Vallotton La stanza verde. Curiosamente lo stesso colore verde – e una analoga sensazione di mistero – pervade Dalla modista di Degas. Non a caso viene citata una sua frase: “Un quadro richiede un certo mistero, un che di vago, di fantastico.”
Si torna quindi ai paesaggi con Pissarro e con una scena di ambientazione bretone di Eugene Boudin Pardon in Finistere.
L’ultima sala raccoglie una serie di tele non collegate dalla comunanza dei temi trattati. Abbiamo infatti l’ineffabile Doganiere Rousseau col suo Paesaggio tropicale 1910 (una giungla resa alla sua maniera, immaginifica e naif, potente alternativa alla metropoli parigina dove viveva) e un paesaggio invernale di Monet Vigneti nella neve reso con grande abilità. Per quanto indefinita – o non finita – appaia la scena non si perde comunque di vista la realtà delle varie tonalità di bianco e il cielo caliginoso senza sconfinare nell’astrattismo delle sue ultime opere.
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