Dopo il non
felicissimo esordio balzachiano, si prosegue il cartellone con una
pièce
contemporanea, leggera e divertente almeno nelle intenzioni
illustrate nella presentazione, Sogno d'amore di Giampiero Rappa (autore e regista). In genere diffido di films, romanzi
ecc. aventi carattere di affresco generazionale: in questo caso si
sarebbe trattato di un'opera che “muovendosi tra autobiografia e
finzione, traccia un ritratto vitale e iperrealistico della odierna
generazione dei trentenni, divisi tra il desiderio di vivere appieno
i propri sentimenti e l’incertezza del futuro”. Credo che il
riferimento ai trentenni – complice forse il giovanilismo (o
infantilismo) che investe anche le fasce di età più mature – sia
inutilmente restrittivo e, in ogni caso, trovo che insoddisfazioni
lavorative e delusioni sentimentali siano esperienze desolatamente
trasversali e trans-generazionali.
Tutto sommato lo
spettacolo è stato gradevole, anche se taluni personaggi (l'attore russo, il “filosofo” stralunato e
pazzoide) erano eccessivamente caratterizzati. Quello meno riuscito
è, a mio avviso, Valeria, tanto graziosa quanto insipiente ed
irritante nella sua indeterminatezza, mentre quello più rispondente
alla realtà è forse Gianni, il protagonista/autore: romantico e
sognatore, ingenuo e paziente quando si tratta della ragazza per la
quale ha perso la testa, diventa altrettanto cinico e opportunista
quando è lui l’oggetto del desiderio – non ricambiato – della
classica “brava ragazza”. Saranno proprio Gianni e Valeria le
figure irrisolte a fine vicenda: una prolessi racconta, infatti, il
lieto fine per la restante parte dei protagonisti mentre su loro due
si stenderà un velo di crepuscolare vaghezza.
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