Una
meta che raramente viene inclusa nei miei itinerari di visita alle
mostre, Torino, questa volta è stata oggetto di una duplice
incursione, al Salone del Libro e all’esposizione sui
Preraffaelliti a Palazzo Chiablese. da tempo mancavo dalla kermesse
del Lingotto, che ho sempre considerato di scarso interesse per chi
già è un lettore cosiddetto ‘forte’ e abituale frequentatore di
librerie. Certo, restano i piccoli editori a costituire motivo di
attrazione e gli eventi ed incontri che arricchiscono l’ampio
programma, anche se molti si accavallano e, stante le code per quelli
di maggior richiamo, si escludono mutualmente.
Questa
edizione non mi ha fatto mutare opinione: l’unica vera attrattiva
per gli amanti della lettura sono gli incontri con gli autori e, a
questo proposito, ho avuto modo di assistere ad una brillante
conferenza, o meglio, conversazione tenuta da Philippe Daverio che è
stata però inopinatamente danneggiata da inconvenienti tecnici e
organizzativi al punto da ridurne la durata ad appena una ventina di
minuti rispetto ai quarantacinque originariamente previsti. Pur
considerando l’ora abbondante di coda necessaria per assicurarsi un
posto, non ho rimpianto l’interminabile attesa, allungata oltre il
dovuto da un soporifero relatore di un evento precedente che ha
protratto il proprio intervento ben oltre il programma. Dopo di che
un problema tecnico, a conferenza appena iniziata, ha impedito a
Daverio di avvalersi dell’impianto audio e quindi di potersi far
ascoltare in una sala dalla capienza di circa 600 posti. Nonostante
ciò, l’eloquio brillante e l’ammirabile erudizione gli hanno
permesso di affascinare l’uditorio rovesciando su di esso una gran
mole di informazioni con tale levità da riuscire a non apparire mai
pedante verboso ma anzi arguto e faceto. Occorrerebbe certamente
aprire un capitolo – e un post – a parte per lamentare l’assenza
di simili occasioni durante tutto l’anno e l’indifferenza nei
confronti degli amanti della cultura, ad oggi confinati in una sorta
di riserva indiana. Giusto tentare di aumentare il numero dei
lettori, altrettanto giusto lasciare nella condizione in cui si trova
(evidentemente a proprio agio) chi si bea della propria ignoranza e
disinteresse per arte, letteratura, poesia, ecc. Auspico che si
arrivi ad avere, nelle nostre città, un circolo dei lettori ogni
cinquanta bar dello sport: unicuique suum.
Venendo
a “Preraffaelliti. L'utopia della bellezza” ho trovato
inaspettatamente ricca e interessante l’esposizione che integra –
per certi versi – quella recentemente tenutasi al Chiostro del
Bramante e incentrata sugli accademici vittoriani. Del resto,
provenendo i prestiti dalla Tate Gallery di Londra non mi sarei
dovuto sorprendere. Particolare anche l’allestimento: in talune
sale dominava quasi l’oscurità, la luce essendo concentrata sulle
tele i cui v brillanti colori venivano sapientemente esaltati. Un
appunto da muovere è ai pannelli esplicativi affissi nelle varie
sale: è vero che spesso sono prolissi ma in questo caso mi sono
parsi invece eccessivamente parchi di informazioni col rischio di non
far cogliere, al visitatore meno informato, la stretta relazione tra
certe opere e la morale vittoriana (esempio classico Il Risveglio
della Coscienza) o tematiche sociali quali la prostituzione,
double standard ecc. (Prendete vostro Figlio di Brown).
Valutazione comunque ampiamente positiva, con la speranza che Torino
presenti con maggior continuità occasioni di richiamo al pari di
questa.
P.S.
“Stunners” era la parola con la quali i membri della
Confraternita Preraffaellita indicavano le giovani donne
particolarmente avvenenti che cercavano di avere come modelle e,
frequentemente, anche come amanti.
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